
Ma facciamo un passo indietro: sto parlando del fenomeno del bullismo.
Mi ricordo alle elementari (elencati in ordine "gerarchico") di Salvatore, Gianluca, Gabriele e (solo in quinta) il ripetente Alessandro.
Erano dei bulli sotto tutti gli aspetti, ma all'epoca venivano definiti "bambini particolarmente vivaci".
Ne subivo di tutti i colori tra furti e pestaggi e, al culmine della sopportazione, reagivo ma, fesso come ero, spesso, senza curarmi di farlo di nascosto dai maestri (si! Al plurale perché la mia classe "sfigata" ne cambiava, mediamente, due all'anno).
Purtroppo all'epoca non c'erano telefonini con videocamera nemmeno nei film di spionaggio futuristico e a far fede, quindi, era il registro di classe.
Ecco, perciò, gli ennesimi processi e tutti, genitori compresi, a colpevolizzarmi con la conseguenza di farmi arrivare a pensare che fossero i bulli ad avere ragione.
Il desiderio di avere, anche io, ragione mi spingeva ad ammirarli e prenderli come esempio ma era impossibile imitarli a causa dei miei vincoli ad un senso di giustizia fermamente inculcato nella mia educazione.
Ho esordito affermando che sarebbe stato più SEMPLICE proprio perché, nemmeno allora, era impossibile venirne fuori e, facendo di necessità virtù, trovai modo di farlo.
Unendo le mie doti da bimbo "cervellotico" allo scaltro carisma d'Alberto formammo una squadra davvero forte.
Ecco, quindi, nascere giochini davvero diabolici. Di uno in particolare sono ancora particolarmente fiero e lo racconto come esempio.
Ci munivamo di una lente che usavamo per concentrare in un piccolo punto i raggi solari.
Questo punto era sito sul dorso della mano di chi voleva cimentarsi nel battere il record di secondi trascorsi sul mio fido orologino digitale, marca "Planar Quarz", senza spostarla.
Detto cosi sembra banale, ma bisogna tenere conto di due "piccoli" accorgimenti.
Quando la prova era effettuata sulla mano di uno di noi due la lente veniva messa meno a fuoco e produceva, ovviamente, meno calore.
Avevamo, inoltre, cura di battere il record di Salvatore di uno o due secondi alla volta, così, da spingerlo ad accettare una nuova sfida che gli lasciavamo, anche con l'inganno, vincere ma non senza dolore protraendo, in questo modo, il gioco molto a lungo.
Dedico questo racconto al mio carissimo amico Alberto e ai nostri primi 30 anni d'amicizia.
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