25 marzo 2008

Arte moderna

Guillermo Habacuc Vargas, un sedicente artista, ha legato un cane randagio e lo ha lasciato morire di fame definendolo un opera d'arte.
Che cattivo il signor Guillermo, davvero cattivo!
Ora siamo tutti indignati, vorremmo la sua testa sul patibolo e abbiamo firmato petizioni.
Deve essere davvero grosso questo signore per essersi opposto a tutta quella gente che, incurante del pericolo personale, ha cercato di nutrire il cane, quando ancora era possibile.
Il vero problema è che, definendo quella crudeltà un opera d'arte, dobbiamo definire il Ruanda come la più bella delle 7 meraviglie.
Solo che lì a morire sono i bambini, le catene (quelle del debito internazionale) non si vedono e nemmeno si nota chi siano gli "artisti" autori del "capolavoro".
Se poi vogliamo evitare di essere definiti filantropi e preferiamo la dicitura d'animalisti (tanto per differenziare la nostra indignazione da quella della comune massa appartenete al genere umano) possiamo ammirare opere ineguagliabili come i naufragi delle petroliere o (senza andare poi tanto distante) le pecore morte per la diossina delle discariche abusive nel sud italia (guarda "sciur Brambilla" che li, a suo tempo, ci hanno portato anche i tuoi di rifiuti).
Allora, come valvola di sfogo, prendiamocela con il nostro "cattivo abbordabile" illuminato ad arte dai riflettori dei media.
Assolviamo invece capi di stato, mafiosi, petrolieri e, soprattutto, i grossi banchieri direttori di questi orchestrali.
Rigraziamoli per la loro abilità nel celare alle nostre coscienze i veri scempi.
Dobbiamo, per forza, farlo perchè mettere in discussione loro vorrebbe dire condannare il nostro stile di vita e, quindi, anche noi stessi.
E allora diciamo pure che le cose sono sempre state così e non possiamo farci nulla, esattamente come nessuno di noi ha preso un aereo per andare a nutrire quel cane perchè un cartello lo vietava.
Ognuno di noi potrebbe scrivere 30.000 post al giorno (uno per ogni bambino morto di fame) per essere un po' meno ipocrita.
Bene, io (solo per oggi) mi sono liberato di un trentamillesimo della mia ipocrisia.

11 marzo 2008

I panettieri

C'era una volta una coppia d'amici che vivevano entrambi in un paese in cui non si sapeva cosa fosse il pane.
Un giorno, durante un viaggio, ne assaggiarono pezzo e capirono quanto fosse buono, così decisero di imparare l'arte del panificatore e rendere disponibile nel loro paese questo cibo delizioso.
Dopo qualche tempo, passato da garzoni, tornarono al paese per aprire un loro forno.
Richiesero un prestito al direttore della banca che si mostrò interessato al progetto, ma propose loro di aprirne due anziché uno in modo da evitare un regime di monopolio (non accettabile per la legge) ed erogare un servizio migliore.
Ne discussero e convennero che sarebbe stata una buon'idea.
Nel paese vi era una via principale che lo attraversava per la sua lunghezza così decisero cha la giusta ubicazione delle botteghe sarebbe stata ad un quarto di strada da ognuna delle due estremità.
In questo modo, infatti, ogni persona avrebbe dovuto percorrere, al massimo, un quarto di via per recarsi al panificio più vicino.
All'inizio la richiesta di pane era maggiore di quanto ne potevano produrre e i due amici cercavano di aiutarsi a vicenda, poi, avviata l'attività, uno decise di ricorrere all'aiuto di un garzone e fu presto imitato dal secondo, poi i garzoni salirono a due per bottega e poi a tre.
A quel punto le botteghe sfornavano pane in eccesso.
Allora uno dei due amici pensò (anche grazie ai consigli del direttore della banca che si offrì di finanziare l'operazione) che trasferendo il negozio più verso il centro della via le persone che vivevano a metà strada avrebbero trovato più comodo acquistare da lui.
Sapeva che quelle dalla sua parte avrebbero dovuto adattarsi al cambiamento, ma lo avrebbero, in ogni modo, trovato vantaggioso rispetto a quello più lontano.
Sapeva anche che avrebbe avuto delle spese per farlo, ma grazie all'incremento di vendite, le avrebbe ammortizzate in breve tempo, ripagando, così, i debiti.
L'amico (anch'esso incoraggiato dal medesimo banchiere), capendo la situazione, per non perdere clienti, ricorse al medesimo espediente e si spostò maggiormente verso al centro della via.
Ovviamente il primo non ebbe il risultato desiderato e fu costretto ad un nuovo trasferimento per non trovarsi in una situazione di svantaggio.
Seguendo questa logica, presto entrambi aprirono le botteghe, affiancate, a metà della via a discapito delle persone che vivevano agli estremi che ora dovevano percorre metà del paese (il doppio rispetto all'inizio) e con poco vantaggio per chi si trovava al centro a cui due panetterie davano le stesse comodità di una sola, ma occupando più spazio.
A questo punto per contendersi i clienti furono costretti ad abbassare i prezzi così, anziché essere ripagati i debiti aumentarono giorno dopo giorno.
Per fare fronte alle spese furono costretti a ricorrere a vari trucchi del mestiere come cuocere di meno il pane in modo che conservasse più acqua (cosa poco salutare) e quindi avesse un peso superiore o ad utilizzare grano di peggiore qualità (cosa poco gradevole).
Ma ogni trucco adottato presto veniva scoperto dal rivale che lo imitava apportando a sua volta dei "miglioramenti" e alla lunga il consumo di pane, analogamente alla sua qualità, diminuì.
I debiti nel frattempo aumentavano e con loro gli interessi; cosi cominciarono a farsi la guerra, dapprima con metodi leciti anche se sleali (come rubarsi il personale facendo offerte migliori o aggiudicarsi tutta la farina sul mercato a costo di indebitarsi maggiormente), poi ricorrendo anche a sabotaggi sempre più complessi operati da parte di specialisti assoldati a sempre più caro prezzo.
Queste operazioni erano sempre finanziate dalla banca compiacente con entrambi.
Ne conseguì che il prezzo del pane aumentò contrariamente alla sua qualità.
Qualcuno nel frattempo imparò a fare il pane e cercò di fornire un servizio valido ai cittadini ma i panettieri, ormai esperti di concorrenza sleale, avvalendosi dell'aiuto del banchiere e dei sabotatori (ormai fissi sui loro libri paga) li facevano fallire in breve tempo per evitare nuova concorrenza.
I debiti dei panettieri erano giunti al punto di non permettere di pagare nemmeno gli interessi.
Fu così che il banchiere li richiamò entrambi e (in separata sede) face notare loro che le cose, come stavano, non andavano bene e che era molto preoccupato per il fatto che presto non sarebbero riusciti a fare fronte ai debiti contratti. Si disse costretto ad assumere il controllo della situazione, ed impose loro metodologie, fornitori e politiche dei prezzi assumendo, di fatto, il controllo totale d'entrambe le attività.
Nonostante il fatto che ora, senza più concorrenza, le panetterie rendessero molti soldi il debito non veniva mai estinto grazie al tasso di interesse sempre più alto.
I due amici si accorsero di essere stati raggirati, ma sapevano anche di non avere nulla di concreto per accusare il banchiere (che non violava, non possedendo ufficialmente le attività, nemmeno la legge sul monopolio).
Di contro loro erano ricattabili dal banchiere in quanto informato degli illeciti fatti in precedenza per combattersi. Anche l'astio che si era creato tra i due non avrebbe favorito una alleanza contro l'usurpatore.
Fu così che il banchiere assunse il monopolio del pane senza doversi nemmeno infarinare le mani ne dover rendere conto del costo e delle qualità del servizio agli utenti finali.


C'era una volta una coppia di amici che vivevano entrambi in un paese in cui non si sapeva cosa fosse la democrazia e che, su consiglio di un banchiere, crearono due partiti schierandone uno moderatamente a destra e l'altro moderatamente a sinistra…

...e la Birmania?

Cosa è successo in Birmania? Mi sono perso qualche notizia che diceva che la situazione si è ristabilizzata?
Quando è esploso il caso tutti ne parlavano e gli attestati di solidarietà spuntavano, sui blog, come funghi dopo la pioggia. Ora non se ne parla più.
Tutti avevano soluzioni da proporre, ognuno in nome della libertà e della democrazia e ora, che si sono spenti i riflettori, non importa più?
Vorrei chiedere ai monaci di piantarla di crepare in questo periodo perché le nostre coscienze sono già, al momento, impegnate a indignarsi per le dichiarazioni di Rosa Bazzi e per l'ultima nomination del grande fratello.
Cosa è successo in Birmania? Non lo so ma, in fondo, neanche mi ricordo dove sta la Birmania (mi sembra fosse qualche km a est di Erba).

7 marzo 2008

Arte, Mestiere e lavoro

Siamo sempre più poveri, ma non è (solo) un discorso economico, Stiamo perdendo l'immensa ricchezza rappresentata dall'arte.
La parola "lavoro" ha sostituito nel linguaggio quotidiano la parola "mestiere" e non è solo un caso gergale.

L'etimologia del termine lavoro riporta al latino labor che significa fatica.
In fisica definisce uno spostamento se tale spostamento non è chiuso (cioè ritorna al punto di partenza).
Ad esempio se si spinge contro un muro, naturalmente il muro non si sposta e, quindi, non si ha lavoro.
In altri termini determina il risultato utile di una forza applicata.

Mestiere deriva, anche esso, dal latino (ministerium).
In italiano indica servigio o officio ovvero l'esercizio di un ARTE meccanica, manuale o (anticamente) nobile qualora esercitata al solo fine di lucro.

Viene facile dedurre che la domanda "Che lavoro fai?" sottintenda il voler conoscere il genere di risultati prodotti dal dispendio di energie e tempo dell'interlocutore (spesso anche la posizione sociale che ne deriva).
La domanda "Che mestiere pratichi?", diversamente, dovrebbe riportare all'abilità (arte) di produrre eccellenti risultati del soggetto.

L'utilizzo sempre più frequente della parola "lavoro" a discapito di "mestiere" è sintomatico, quindi, di una società orientata sempre più al risultato funzionale a discapito dell'aspetto "artistico".

Il piccolo artigiano non fugge da queste logiche dovendo, per ragioni di costi, lesinare su tempi e materiali.

Anche l'artista, ormai, viene "declassato" a lavoratore.
Vi sono prassi da seguire sui modi e i tempi di produzione allo scopo di creare un prodotto "artistico" che segua certi canoni di vendibilità.
Allora ecco che nascono canzoni scritte quasi meccanincamente seguendo regole musicali (commerciali) di "orecchiabilità di massa"; cibi che hanno tutti lo stesso sapore (quello più vendibile); edifici costruiti nel modo più economico, cioè piegati ad esigenze di risparmio sui costi dei materiali e di sfruttamento degli spazi disponibili, sacrificando il confort e l'aspetto finale.

Molto viene ideato e creato (o meglio studiato e costruito) in base a ricerche di mercato e metodi produttivi che tendono ad ottenere il massimo profitto senza curarsi dell'effettiva validità del prodotto.
Pochi si occupano della felicità del fruitore cercando di offrirgli, unicamente, quel minimo necessario di soddisfazione (spesso illusoria) necessaria a non compromettere un eventuale rapporto futuro ma, allo stesso tempo, insufficiente a soddisfare il suo bisogno altre "soddisfazioni" del genere.